Tutto un altro mondo…

Se esiste un momento in cui più di altri si dovrebbe allargare le braccia ed accogliere è sicuramente il periodo Natalizio. E al di là degli echi politici accogliere, nel suo significato più ampio e più bello dovrebbe sottolineare una disponibilità al confronto con qualcosa di diverso. La moda ha sempre avuto nel suo dna la capacità di vedere la diversità come una risorsa, come punto di accesso ad una visione differente e per questo complementare. Oggi in cui più che mai la “diversity” è necessaria è bello poter dire che la moda spesso anticipa la politica, perchè parla della società e ne rappresenta la parte più viva e più attenta al cambiamento.

Per molti anni, la “diversità” nella moda ha riguardato solo l’impatto visivo mentre oggi più che mai si è lasciato il posto ad una inclusività reale che ha diversi volti e diverse anime. I fruitori della moda oggi pretendono, a buon motivo di essere rappresentati e per far questo il cambiamento è doveroso, ancor più perché tardivo. “Questo è il momento in cui le aziende dovranno iniziare davvero a trasmettere con orgoglio l’orientamento alla diversità” – proclama il report Mckinsey 2020 ossia il più autorevole compendio annuale sul settore moda.  

Bisogna fare attenzione però, perché spesso nell’ansia di portarsi avanti ed essere al passo si fanno degli scivoloni.

Uno degli scivoloni più recenti è stato quello commesso da Carolina Herrera, accusata da Alejandra Frausto sulle pagine del El País, ministro della cultura del Messico, di aver utilizzato per i propri fini tecniche di ricamo e motivi specifici di alcune comunità indigene messicane per la collezione resort 2020. La collezione comprendeva abiti e bambole che la Frausto ha citato come appartenenti alla comunità di Tenango de Doria a Hidalgo, oltre a un abito chemisier in maglia praticamente identico al serape di Saltillo. Un omaggio che suona come vera e propria appropriazione culturale ma che purtroppo non è il peggio che possa accadere.

A farla grossa è stata la catena H&M al centro di polemiche (quasi quanto Dolce & Gabbana lo scorso anno) per la comparsa sull’e-commerce del brand di una felpa dalla scritta già di per sè infelice: “The coolest monkey in the jungle” indossata da un bambino di colore. Già così sembrerebbe abbastanza banale che l’insieme non solo non funzionava ma che avrebbe portato inevitabilmente delle critiche. Sul sito compariva poi, vicino al bambino di colore, un bambino bianco con la stessa felpa ma con scritta diversa “Survival Expert”. Terribile da vedere. Terribile pensare che sia stato fatto con intenzione. Eppure che H&M non sia attentissima alla diversity era già apparso chiaro nel 2013 quando aveva dovuto ritirare i copricapi piumati dai suoi negozi in Canada, dopo che i clienti canadesi avevano sottolineato la poca attenzione per le usanze tribali della First Nation. Inoltre per le campagne pubblicitarie, il team della sede del Sudafrica nel 2015 non aveva presentato modelli di colore e alla domanda sulla mancanza di diversità nel catalogo, il brand aveva risposto con un twitt suggerito che i modelli bianchi aiutavano a trasmettere positività agli acquirenti. 

Il 2019, di fatto , è stato anche l’anno dei misunderstanding e della presa di coscienza che conoscere gli altri significa fare un passo non solo per comprenderli ma anche per capire che non si può includere senza conoscere, senza capire profondamente cosa stiamo includendo e perchè. Raccontare la storia di una cultura non conoscendola è non solo inutile ma anche offensivo. Pensate a quante volte noi italiani abbiamo visto nei film americani, attori che gesticolavano a caso con poca naturalezza. Vediamo questa rappresentazione dell’Italiano medio che ci innervosisce e ci fa pensare che “gli altri non hanno capito niente”.  Quello è un millesimo di quanto succede oggi con le altre culture. Questo è solo una piccola parte di quel che noi stiamo facendo pensando di poter capire ogni cosa con il nostro sguardo. Per ovviare a degli errori banali ed essere capaci di comprendere davvero tutte le sfaccettature in cui il concetto di diverisità può essere declinato, la casa di moda Chanel ha nominato quest’anno il suo primo responsabile della diversità e dell’inclusione. Annunciando l’assegnazione dell’incarico, il marchio francese ha dichiarato di voler fornire un nuovo “slancio” al suo “approccio esistente per la diversità e l’inclusione”. 

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Ma riprendiamo da dove abbiamo iniziato. C’è chi nella moda ha sempre visto un’occasione di scambio e di conoscenza e proprio da questo bisogna ripartire per il nuovo anno. C’è chi ha saputo farlo anche in tempi così difficili come Francesco Risso direttore creativo di Marni che durante una sua visita alla Shanghai Fashion Week era rimasto colpito dall’abilità artigiana dei Miao, una delle 55 minoranze etniche riconosciute dal governo cinese.

Pensando di fare da cassa di risonanza per i problemi di questa minoranza il brand ha lanciato Marni Miao: una selezione di pezzi realizzati con alcuni selezionati maestri artigiani che saranno inizialmente distribuiti (a partire da marzo 2020) nei monomarca cinesi del brand, per poi estendere la distribuzione – comunque limitata – ad alcuni store Marni a livello internazionale. Dalle premesse una buona idea… ma ne riparleremo con il nuovo anno!

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